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Controllo accessi: il badge e i suoi fratelli

15/09/2022

della Redazione

Badge, portachiavi, braccialetti, sticker, cellulari, smartwatch… Nei sistemi elettronici di controllo accessi la tecnologia RFId ha ampliato l’offerta dei dispositivi di riconoscimento automatico, una volta limitata al tradizionale badge nel formato carta di credito. Mentre la biometria sta in agguato per ingoiarli tutti (legislazione permettendo), quali sono i pro e i contro che caratterizzano questi “token” alternativi, sempre più diffusi? Non è vero che uno vale l’altro, come si pensa. Vediamo perché.

Da quando, circa 30 anni fa, la tecnologia RFId (Radio Frequency Identification) ha mandato in pensione (o quasi) il vecchio badge magnetico, l’offerta di dispositivi d’identificazione automatica delle persone nell’ambito dei sistemi elettronici di controllo accessi si è arricchita di nuovi prodotti. Oggi, infatti, oltre al classico badge nel tradizionale formato carta di credito (tuttavia sempre in testa alle vendite), sono disponibili diversi “transponder” alternativi quali, ad esempio, portachiavi, braccialetti, sticker ecc. Ciascun “token” presenta, come sempre, vantaggi e svantaggi che è bene conoscere nel momento in cui s’intende realizzare un nuovo impianto di controllo accessi o sostituirne uno obsoleto.

Il “vecchio” badge

Il dispositivo d’identificazione RFId più diffuso resta sempre il badge nel formato credit card. Esso, infatti, oltre a essere universalmente noto e accettato, offre numerosi vantaggi rispetto ai fratelli più giovani. Innanzi tutto è disponibile in un’ampia gamma di modelli basati su frequenze di lavoro diverse (125 KHz RO o RW, 13,56 MHz Mifare o DESFire ecc.). Per le sue dimensioni e formato offre un’ampia possibilità di personalizzazione grafica, fronte/retro, tramite stampa in quadricromia, offset e sublimazione di colore (logo aziendale o stemma, dati anagrafici, foto, avvertenze e così via). Date le discrete dimensioni dell’antenna, fermo restante il tipo di lettore, garantisce una distanza di lettura più elevata rispetto agli altri dispositivi. Consente l’integrazione di più tecnologie nello stesso supporto, sia a livello RFId (ad esempio 125 KHz e 13,56 MHz) sia di tipo tradizionale (banda magnetica, codice a barre lineare, QR code). Può, infine, essere “indossato” in vari modi: appuntato all’abito o all’indumento di lavoro, appeso al collo o alla cintura, conservato in tasca, inserito nel portafoglio ecc. Per contro, oltre a un costo importante (ma solo per alcune versioni), il badge è soggetto a logoramento e rottura, specie in ambienti ostili o difficili (quali fonderie, officine, ecc.).

I nuovi transponder

I dispositivi RFId più diffusi, alternativi alla card, sono i transponder nel formato portachiavi e braccialetto. Entrambi sono disponibili in vari formati, design e colorazioni sebbene il cuore dell’oggetto sia più o meno lo stesso. Non solo vanno di gran moda, ma indubbiamente offrono alcuni vantaggi che il badge non ha, in particolare la praticità e la robustezza. Per contro la distanza di lettura, date le ridotte dimensioni dell’antenna, è minima mentre la personalizzazione grafica (in genere mediante serigrafia) è limitata al logo, numero di serie o poco più. Vi sono poi gli sticker, etichette RFID autoadesive a 13,56 MHz, generalmente di formato circolare o rettangolare. Si applicano sul supporto plastico di un badge magnetico (per implementare la tecnologia RFId) oppure su una card a radiofrequenza 125 KHz (per integrare la 13,56 MHz). Data l’estrema fragilità del prodotto, è consigliabile solo per soluzioni temporanee, ovvero durante il passaggio da una tecnologia a un’altra (ad esempio dalla banda magnetica alla RFId), nell’attesa di disporre del “token” definitivo.

Un discorso a parte

Un cenno a parte meritano i dispositivi mobili da usare al posto del badge e i microchip RFId da impiantare sottopelle. L’uso dello smartphone (tablet, smartwatch) per accedere attraverso un varco all’azienda o a un’area interna riservata è molto in voga. Perché acquistare e portarsi dietro un badge o un trasponder quando ormai tutti hanno in tasca un telefonino smart? Perché non tutti i dispositivi mobili hanno le caratteristiche idonee, la distanza di lettura è limitata, il costo dei lettori molto più elevato. In alcuni contesti, per una serie di ragioni, la tecnologia NFC (Near Field Communication) è controindicata; anche l’alternativa Bluetooth non è esente da difetti. I chip da impiantare nel dorso della mano, infine, limitati a poche e particolari applicazioni, risolverebbero alcuni problemi alla radice: sono sicuri, impossibili da dimenticare a casa, rompere, smarrire o prestarsi allo scambio tra colleghi. In molti paesi europei (tra cui l’Italia) un’eventuale soluzione di questo tipo suscita sgomento e grande preoccupazione, solo a pensarci (privacy e sicurezza), mentre in alcuni, come la Svezia, la corsa è già partita. Un 37enne olandese, di chip RFId ne avrebbe impiantati nel suo corpo addirittura una trentina.

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