mercoledì, 3 luglio 2024

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Lavoro nel baratro assistenzialismo all’apice

17/11/2022

di Giuseppe Ligotti - Consulente in gestione HR Profittevole 

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Così recita il comma 1 dell’Art. 1 della Costituzione Italiana. Viene da chiedersi se e quanto oggi se ne comprenda il significato.  Il termine lavoro oggi sembra aver perso il suo significato originale, ovvero quello di identificare qualsiasi attività avente lo scopo di produrre beni o ricchezza. Fino a pochi anni fa, il termine lavoro creava un’automatica associazione con la dignità della persona e della sua famiglia. Gli individui, ognuno secondo le proprie attitudini e possibilità, ambivano ad avere un lavoro stabile, cercando la possibilità di svolgere un mestiere, arte o professione che, oltre a realizzare i propri sogni nelle migliori delle ipotesi, rappresentasse il mezzo di sostentamento proprio e della propria famiglia. 

Il valore del lavoro era così radicato nella cultura popolare che chi, seppure per motivazioni diverse, non fosse riuscito a trovarne uno, avrebbe vissuto quella momentanea situazione con un inconsapevole ma profondo senso di disagio verso il resto della società. La società trasmetteva ai giovani messaggi che enfatizzavano lo studio come strumento per ambire ad avere quello che veniva definito un buon lavoro. I genitori cercavano di insegnare ai propri figli quanto fosse importante avere ambizione, ovvero si sforzavano di sviluppare in loro un sentimento che li portasse attraverso il lavoro ad eccellere al fine di migliorare la propria posizione sociale. Forte era il senso di responsabilità verso il lavoro e grande era il senso di riconoscimento degli individui.

E oggi?

Oggi il lavoro non rappresenta più un valore, un’opportunità di crescita o di riscatto sociale ,ma viene vissuto come fatica e rinuncia. La società promuove messaggi effimeri e superficiali dove tutto è permesso e dove tutto è dovuto. La scuola, da luogo educativo e formativo, è diventato luogo di passatempo dove il senso del dovere e il rispetto verso gli insegnanti lasciano il posto all’arroganza e alla mancanza di educazione. L’importante non è formare persone colte e preparate, ma individui incapaci di assumersi responsabilità e impegni.  Sacrificio, ambizione, responsabilità lasciano il posto a comodità, facilità, libertà.

Assistenza vs. assistenzialismo

Ecco allora che lo spirito costruttivo presente nel concetto di assistenza sociale, che trova espressione anche nel dettato Costituzionale (art. 3 co.2) ed il cui scopo è quello di promuovere il benessere di tutti i cittadini eliminando le gli ostacoli di ordine economico e sociale, lentamente e costantemente, cede il passo all’assistenzialismo. D’impatto i due termini Assistenza Sociale e Assistenzialismo possono apparire sinonimi, invece sono uno l’opposto dell’altro. Il termine Assistenza Sociale affonda le sue radici nella dignità della persona. Scopo dell’Assistenza Sociale è il miglioramento delle condizioni economiche e sociali, che viene perseguito rendendo libere le persone attraverso politiche economiche e di lavoro capaci di migliorare le condizioni sociali. L’assistenzialismo, al contrario, è espressione dell’accentuazione delle attività assistenziali da parte dello Stato a favore di soggetti privi di autonomia economica: il suo scopo è reprimere lo spirito di intraprendenza e di cambiamento espressione di una società libera, moderna e dinamica.

Fa bene o fa male?

Certamente la politica dell’Assistenzialismo trova facilmente consensi e condivisione. È facile comprendere come un individuo sia naturalmente portato a scegliere un’indennità economica di valore medio alto e gratuita che gli lasci a disposizione la libertà del proprio tempo. I recenti avvenimenti sanitari e socio politici hanno fatto esplodere il fenomeno permettendo a molti Governi, tra cui quello Italiano, di mettere in atto politiche di assistenzialismo molto forti ed incisive. La politica dei Bonus e dell’erogazione di denaro come sussidio, in alternativa alla giusta remunerazione per il lavoro eseguito, favorisce ed alimenta le condizioni che spingono il lavoro verso un baratro dal quale difficilmente potrà risalire. Contemporaneamente collocano all’apice lo strumento dell’Assistenzialismo.

Dov’è il personale?

Le difficoltà che le nostre imprese stanno vivendo in questi mesi nel reperire personale più o mono qualificato (indipendentemente dalla mansione e dal periodo di assunzione a tempo determinato o indeterminato, da orari di lavoro flessibili a volte addirittura incompatibili con la tipologia di lavoro) sono diretta conseguenza della politica dell’assistenzialismo, la quale, nel medio/lungo periodo, se non interrotta, comporterà inevitabilmente ad un appiattimento delle competenze, alla scomparsa di numerose attività, alla perdita di arti e mestieri, alla mancanza di indipendenza economica e conseguentemente alla libertà del libero pensiero e di scelta. Ma come fare per contrastare il fenomeno istituzionale sempre crescente dell’Assistenzialismo? Come fare per non cadere nella trappola del facile è bello?

Come se ne esce

Per non diventare vittime della sconsiderata politica dell’Assistenzialismo che vuole attori sociali deboli, inermi e improduttivi, lavoratori e imprese devono superare definitivamente le vecchie ed obsolete ideologie che dipingono i lavoratori come soggetti passivi e sottomessi e gli imprenditori come tiranni sfruttatori. Lavoratori e imprenditori devono coalizzarsi per dare vita ad un sistema efficiente e profittevole, devono costruire una politica salariale che metta al primo posto la dignità sociale dell’individuo e della famiglia e che dia reale supporto allo sviluppo imprenditoriale.

Il lavoro al centro

Lavoratori ed imprese devono tornare a percorrere la strada tracciata dal dettato Costituzionale, che pone al primo posto il lavoro; devono ridargli dignità attraverso politiche attive di Assistenza Sociale. Il salario e lo stipendio devono tornare a rappresentare l’unico vero mezzo di sostentamento delle famiglie. Lavoratori e imprese con i propri rappresentanti sindacali devono potenziare le misure politiche attive di welfare sociale. Per operare una riforma sociale seria e strutturale occorre superare concetti obsoleti e datati, occorre contemplare sistemi retributivi integrati che diano vita ad un sistema che sia libero da vincoli operativi, efficiente, attento ai costi aziendali ed allo stesso tempo in grado di promuovere i consumi e in grado di sostenere lo sviluppo economico e le entrate erariali.

 

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