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Riforma della vigilanza privata:cosa cambia per chi vende la tecnologia

30/08/2010

di Ilaria Garaffoni

Sono passati due anni e mezzo da quando la Corte di Giustizia ha condannato il vetusto TULPS (impianto regolamentare della vigilanza privata, regio decreto, classe 1931). Da lì è partito un profondo processo di riforma, tra improvvise accelerazioni spesso a ridosso delle elezioni e assai più frequenti battute d'arresto a seguito di cadute dei vari governi (o di cadute d'attenzione degli stessi). Con il DL 2 aprile 2008 il governo italiano definì, obtorto collo, le linee guida per l'adeguamento dell'impianto italiano ai diktat europei, demandando ad una Commissione consultiva la stesura dei decreti attuativi. Sebbene il decreto ponesse delle basi importanti di lavoro (crollo dell'impianto territoriale provinciale, liberalizzazione delle licenze e delle tariffe entro certi limiti), la partita era ancora tutta da giocare sul tavolo dei decreti di attuazione. In particolare sul decreto volto a determinare i requisiti minimi organizzativi, gli standard professionali, la capacità tecnica e la qualità dei servizi che dovrà essere garantita dagli Istituti di Vigilanza privata per poter stare sul mercato. Ebbene, dopo un lungo e scivoloso periodo di deregulation, lo scorso 14 aprile la Commissione ha varato il testo, condiviso del DM sulla capacità tecnica. Che presenta importanti riflessi anche per chi tratta con la vigilanza privata in qualità di fornitore.


Lo scorso 14 aprile la Commissione consultiva centrale ha concluso l'esame della bozza di decreto ministeriale sulla capacità tecnica per le imprese di vigilanza privata, varando il testo condiviso del DM, che si appresta quindi a compiere l'iter amministrativo di prammatica: dal passaggio al Consiglio di Stato per una valutazione complessiva,alla firma del Ministro Roberto Maroni, fino alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Un iter che, stando alle assicurazioni che sono state date dall'On. Alfredo Mantovano,non dovrebbe spingersi oltre il mese di luglio. Quel che è certo è che il decreto potrebbe avere effetti dirompenti sull'attuale scacchiera competitiva e, di riflesso, su chi vende tecnologia alle vigilanze private. Secondo Piergiulio Petrone, Vice Presidente FederSicurezza e componente della Delegazione Federale nella Commissione consultiva centrale, "ci troviamo ad un giro di boa. Il testo definisce infatti i requisiti minimi che le aziende devono possedere per poter operare sul mercato, in base all'individuazione del tipo di attività che intendono svolgere (classe A, B, C, D o E in baseai servizi da proporre, che richiedono il coinvolgimento di tipologie professionali diverse); in base all'estensione territoriale che le imprese vogliono coprire (provinciale fino a 300.000 abitanti, provinciale superiore a 300.000 abitanti, ultraprovinciale fino a 3 milioni di abitanti, da3 a 15 e superiore a 15 milioni di abitanti) e in base al livello di servizi che si intende offrire (fino a 25, fino a50, fino a 100 e oltre 100 gpg). In relazione alle categorie individuate (classi di attività, ambito territoriale e livelli di servizio offerti), alle imprese vengono richiesti determinati requisiti minimi qualitativi, che afferiscono alla capacità economico-finanziaria, al corredo tecnologico,alle caratteristiche del progetto organizzativo e gestionale,alla professionalità del titolare/istitore/direttore tecnico,alle certificazioni di regolarità contributiva, ecc."In sintesi il ministero dice: cara impresa di vigilanza,vuoi offrire servizi, che so, di trasporto valori sul territorio nazionale ma disponi di sole 5 guardie e nessun mezzo blindato? Mi dispiace ma devi essere capace di garantirmi una determinata qualità, altrimenti non posso rilasciarti la licenza. Un meccanismo che dovrebbe sbarrare l'ingresso sul mercato a realtà che sono "fisiologicamente impossibilitate" a fornire servizi di qualità accettabile. Secondo Petrone, con questo sbarramento"potrebbe restare sul mercato meno del 50% delle attuali licenze. Tenendo conto che già oggi molti grandi o medi gruppi stanno accorpando le licenze, con la nuova norma sarà quasi un obbligo procedere in questa direzione, quindi: vuoi per una questione 'fisiologica'(concentrazioni, accorpamenti, fusioni ecc.), vuoi per una questione 'patologica' (incapacità di disporre di strutture, mezzi o capacità), resteranno sul mercato non più del 50% delle attuali licenze effettivamente operanti - che sono meno delle licenze rilasciate". Insomma, questo decreto è la prima, vera occasione per fare pulizia in un settore che raramente brilla per trasparenza. La libera concorrenza si giocherà, forse perla prima volta, su un terreno competitivo sano, regolare,corretto. Per il settore si riparte da zero. Con indubbiriflessi anche per chi tratta con gli Istituti di Vigilanza in qualità di fornitore tecnologico, in particolare per le centrali d'allarme. Su questo tema, peraltro, il decreto sulla capacità tecnica offre delle sorprese - non da tutti gradite. Per capire cosa cambia sul fronte di chi vende tecnologia alle vigilanze private, abbiamo chiesto un approfondimento ad Antonello Villa, rappresentante italiano in CoESS (Confederation of European SecurityServices) e socio benemerito A.I.PRO.S (Associazione italiana professionisti della sicurezza).


Istituti di vigilanza e centrali d'allarme: un po' di storia

Partiamo con una breve cronistoria delle tappe salienti del controverso rapporto Istituti di Vigilanza – centrali d'allarme, per inquadrare meglio l'argomento. Antonello Villa racconta che "risale ai primi anni settanta l'inizio di una diffusa attività di telesorveglianza ad opera degl iIstituti di Vigilanza. In quegli anni, infatti, compaiono anche sul mercato italiano i primi dispositivi in grado di trasferire a distanza un allarme generato da un impianto antintrusione o antirapina, utilizzando mezzi di trasmissione relativamente economici, ovvero le linee telefoniche pubbliche ed i ponti radio. In precedenza,e solo per obiettivi ad alto rischio, i segnali di allarme erano collegati agli Istituti di Vigilanza o alle centrali delle forze dell'ordine attraverso linee dedicate; quando l'allarme scattava o la linea era interrotta una luce rossa ed il suono di un buzzer avvertiva l'operatore in turno. I "nuovi" dispositivi, detti combinatori, disponevano di un messaggio preregistrato contenente le informazioni dell'allarme, che l'operatore di centrale ascoltava sollevandola cornetta del telefono oppure dalla consolle radio. Parallelamente alla diffusione dei dispositivi ditele/radio allarme, nasce l'esigenza di inquadrare questa nuova attività. La principale questione che ci si poneva allora era: la telesorveglianza è da ricomprendere tra le attività regolate ex art. 134 TULPS, ossia è richiesta la licenza autorizzatoria del ministero dell'Interno? E se sì, entro quali ambiti? Il Ministero dell'Interno interviene per la prima volta sull'argomento con la circolare n.10.4190.10089.D(4)1 del 24 giugno 1976, riportante anche un parere del Consiglio di Stato, nella quale si stabilisce che l'accentramento di segnali di allarme, seppur in forma innovativa, costituisce attività di vigilanza e quindi ricade nelle previsioni dell'art. 134 e seguenti del TULPS. Questa interpretazione, essendo ancorata al TULPS stesso, non poteva che sopravvivere pressoché immutata fino ai giorni nostri, e precisamente fino all'entrata in vigore del DPR di riforma (DL 2 aprile 2008,detto salva infrazioni). Solo gli Istituti di Vigilanza (IdV)autorizzati dalla competente Prefettura possono offrire servizi di teleallarme, operando all'interno degli ambiti territoriali autorizzati, coincidenti al massimo con un'intera provincia. Gli operatori devono avere la qualifica di guardie particolari (giurate), l'istituto dispone di una centrale operativa posta nella stessa provincia nella quale opera. Nel caso la stessa società o lo stesso titolare abbia più autorizzazioni, ciascuna deve essere gestita separatamente, ad esempio con una specifica centrale operativa per ogni diverso IdV. Le successive circolari ministeriali hanno preso in esame specifici aspetti: le circolari n.559/C5803.10089.D(4)1 del 19 giugno 1987e n.559/C.20889.12982(9) del 11 novembre 1993 interpretano(e reinterpretano) il ruolo dei c.d. centri di teleservizio (telesoccorso e telecontrollo, ma anche quelli che oggi chiameremmo call-center) escludendoli dall'ambito di applicazione dell'art 134 TULPS; la circolaren.559/C.14094.10089.D.49(9) del 3 dicembre 1999 rileva come sia ammissibile che un IdV disponga di parte del suo sistema tecnologico di centralizzazione presso un altro IdV, a patto che i segnali di pertinenza vengano smistati automaticamente (senza l'intervento di un operatore dell'istituto terzo) alla centrale dell'IdV stesso; la n.557/B.11926.10089.D71(1) del 31 luglio 2003ribadisce infine l'obbligo di attivare una centrale operativa per gli IdV, escludendo la possibilità che una stessa centrale possa servire più IdV. Con la revisione dell'art.134 e seguenti del TULPS, attuata con DL 8 aprile 2008convertito in legge 6 giugno 2008 n.101, ed il relativo regolamento di esecuzione DPR 4 agosto 2008 n.153,il quadro normativo al quale si deve far riferimento perl'attività di telesorveglianza non subisce sostanziali stravolgimenti,se non per il superamento del limite provinciale della licenza, che può ora avere estensione anche nazionale".

Cosa cambia per la domanda di tecnologia?

Entriamo ora nel vivo della riforma e dei suoi riflessi sul mercato: cosa cambia per chi vende tecnologie a seguito del DM sulla capacità tecnica ora in itinere?
Concretamente, un Istituto di Vigilanza che vuole richiedere/estendere/mantenere una licenza per una determinata estensione territoriale, quale equipaggiamento tecnologico dovrà dimostrare di possedere?
Villa spiega che "una delle previsioni più innovative contenute nel regolamento di esecuzione è il rimando ad un apposito DM per quanto riguarda i requisiti minimi del progetto organizzativo,della qualità degli IdV e dei servizi, della professionalità ecapacità tecnica dei direttori. Il DM sulla capacità tecnica è stato elaborato anche grazie al contributo di una commissione consultiva presso il ministero dell'Interno che ha visto la partecipazione delle associazioni di categoria e delle parti sociali, ed è ora all'esame del Consiglio di Stato. Nel decreto si stabiliscono regole oggettive chiare,valide per tutti gli operatori del mercato, dato che anche gli attuali IdV autorizzati dovranno adeguarsi entro un preciso termine dall'entrata in vigore del DM. La caduta del limite provinciale ha già provocato, e continuerà a provocare,un assestamento della situazione delle licenze sul territorio nazionale, nel senso che molte società che prima gestivano una pluralità di centrali hanno presentato progetti che prevedono la loro riunificazione, mentre altre vogliono estendere il loro raggio di azione. Il DM sulla capacità tecnica individua, per questa classe funzionale di attività, criteri di qualità crescenti a seconda dei livelli dimensionali (4) e degli ambiti territoriali interessati (5). Per gli ambiti territoriali maggiori, si arriva a richiedere che la centrale operativa sia conforme alla norma tecnica UNI11068/2005 (copertura di un territorio per oltre 3 milioni di abitanti) e che ci sia la coesistenza di almeno due centrali operative in backup tra loro (oltre15 milioni di abitanti). Sempre per gli IdV che operano su ambiti territoriali estesi, è richiesto l'utilizzo di supporti di geo-referenziazione (es. GPS). Per tutti gli IdV è richiesta la certificazione del sistema di assicurazione della qualità secondo la norma UNI EN 9001/2008. Uno specifico allegato indica infine i requisiti minimi per le infrastrutture di telecomunicazioni, anche in questo caso viene conservato il principio di modularità dimensionale. Gli Ispettorati Territoriali del Ministero dello Sviluppo Economico Comunicazioni sono incaricati della verifica circa la sussistenza di tali requisiti minimi"

Cosa cambia per l'offerta di tecnologia?

A questo punto c'è da chiedersi come dovrà mutare l'offerta di tecnologie di centralizzazione, di fronte ad una domanda in necessaria via di evoluzione.
Antonello Villa specifica innanzitutto che il DM sulla capacità tecnica non fornisce – giustamente - indicazioni circa le tecnologie di centralizzazione da utilizzare, limitandosi ad enunciare i requisiti funzionali minimi e a rimandare alle norme tecniche per alcune specifiche materie. Tuttavia sul mercato sono viceversa già visibili le tendenze chela nuova normativa sta generando, anche se il processo di rinnovamento del settore in generale - e della telesorveglianza in particolare - è verosimile che si svilupperà in un arco temporale di alcuni anni. "Alla fine di questo processo – prosegue Villa - il mercato italiano assomiglierà molto di più agli altri mercati europei più sviluppati,con un numero minore di centrali e, come naturale conseguenza, una media di collegamenti per centrale maggiore. Il passaggio da centrali con un numero ridotto di collegamenti in un ambito geografico ristretto, ac entrali con un numero maggiore di collegamenti aventi una grande dispersione geografica porterà, e difatti sta già portando, a scelte tecnologiche diverse dal passato ed a maggiori investimenti in nuove tecnologie. Un numero maggiore di collegamenti per centrale, che stimo possa attestarsi in Italia, nel volgere di qualche anno, su una media di 5.000 collegamenti, è la principale ragione che spinge all'adozione di sistemi di gestione degli allarmi di nuova generazione,per intenderci sistemi che non si limitano alla funzione primaria di allertare l'operatore in caso di allarme o di anomalia. Ma questa non è l'unica, esistono altre importanti motivazioni:

architettura complessa - diretta conseguenza della concentrazione delle centrali è la necessità di gestire il lavoro contemporaneo di molti operatori con livelli e competenze diverse e,allo stesso tempo, di distribuire le informazioni su più centrali e uffici dell'organizzazione;

interoperabilità - sempre più gli IdV hanno la necessità di far interagire i vari sistemi informatici, principalmente con il gestionale dell'azienda, anche per fornire servizi e funzioni personalizzate alla clientela;

apertura al cliente - il cliente pretende di avere accesso alle informazioni che riguardano il suo servizio, via web, email, smartphone etc.;

conoscenza del territorio - l'operatore non può più garantire una conoscenza diretta del territorio come avveniva in un ambito provinciale, necessita quindi di un supporto, ad esempio mediante l'integrazione nella centralizzazione di un sistema cartografico(GIS);

ottimizzazione dei processi - disponendo di massa critica in termini di collegamenti, gli investimenti in software di centralizzazione possono automatizzare molte parti del processo di ricezione allarme ed intervento, qualificando la professionalità degli operatori ed al contempo realizzando economie che in alcuni casi hanno portato fino al 40% di risparmio in termini diminore impiego di operatori;

misurazione e certificazione della qualità dei servizi – solo un software evoluto abbinato ad un robusto database di tiporelazionale consente di tracciare tutte le attività e ricavare quelle statistiche che permettono di misurare la qualità dei servizi(numero di allarmi suddivisi per tipo - reali, impropri, errate manovre del cliente etc., per giorno o fascia oraria, tempi di intervento, carico di lavoro degli operatori ...) ed individuare le aree di inefficienza e di possibile miglioramento".

Inoltre il decreto fissa che non ci si può limitare a gestire l'allarme(ricevere il segnale e allertare le FFOO), ma alla ricezione e gestione dell'allarme si deve per forza abbinare l'intervento sul posto a mezzo gpg. Quindi, esclusa la localizzazione satellitare dei beni mobili, serve l'autorizzazione ex art. 134 del TULPS. Capito cosa sta per succedere, operatori della security che trattate con le vigilanze private? Chi ha orecchie per intendere, intenda.


A&S Italy 2010
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