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Videosorveglianza e sicurezza urbana

15/01/2017

di Giovanni Villarosa, Laureato in Scienze dell’Intelligence e della Sicurezza, esperto di Sicurezza Fisica per Infrastrutture, Chief Security Officer e Data Protection Officer, Giovanni Villarosa è anche Vice Presidente di SECURTEC (Associazione culturale, composta da security manager certificati, che si occupa di tematiche legate al mondo - logica e fisica - per la protezione di infrastrutture complesse e critiche).

Le moderne tecnologie di videosorveglianza applicate alla nostra società, evoluta e libera, furono lette sin da subito come una forma di limitazione; percepite come nuova forma di “controllo sociale”. In riferimento a questo timore, e alla loro penetrazione nelle organizzazioni della società, con il passare del tempo la videosorveglianza ha mutato la sua presunta azione “invasiva”, assumendo sempre più un ruolo “preventivo” o presunto tale, di “sentinella” collettiva nell’azione della prevenzione propria dei “fatti” criminogeni consumati in ambito urbano. Sono molteplici le organizzazioni, dalle istituzioni pubbliche alle imprese, come anche le singole comunità private, che pongono ogni giorno in atto processi di videocontrollo che producono, inevitabilmente, conseguenze sociali sulla nostra sfera privacy: la diffusione massiva delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione, fanno sì che i sistemi di videosorveglianza contribuiscano al cambiamento dell’organizzazione sociale attraverso forme che mutano rapidamente e che altrettanto rapidamente penetrano nella vita di tutti i giorni. E’ ormai chiaro che lo sviluppo della cosiddetta società dell’informazione va di pari passo con la diffusione sociale della cd “sorveglianza elettronica”...

Ci sono diversi studi sulla videosorveglianza che ben rappresentano quali “reazioni” sono intervenute in questo ambito multidisciplinare, con apporti da parte tanto della sociologia e filosofia, quanto dalla giurisprudenza. Un mezzo, definito dagli accademici, “socio-tecnologico” post 11 settembre nel campo della sicurezza sociale, intesa come “security”, sempre più diffuso in Italia: da anni ormai è divenuto lo strumento tecnologico di prevenzione a cui più di ogni altro fanno ricorso le istituzioni, le amministrazioni locali, i privati; nonostante i pesanti investimenti richiesti per acquisire e gestire questa tecnologia, la videosorveglianza ha avuto una fortissima espansione. Dai sistemi installati in molte strutture pubbliche considerate a rischio, quali banche, uffici postali, supermercati, musei, stazioni ferroviarie, ai sistemi “domestici” gestiti dal singolo privato.

RISULTATI?

Per contro, invece, sono ancora modesti i dati a riscontro circa l’efficacia dei sistemi video, nell’azione di prevenzione della criminalità in termini di raffronto costi e benefici. Scelte che nascono a livello centrale, con la nuova fase parternariale tra lo Stato e i diversi livelli degli enti locali per lo sviluppo di “politiche integrate di sicurezza”, avviata con la firma del Patto per la Sicurezza di Napoli nel novembre 2006: la videosorveglianza si conferma una misura privilegiata dalle pubbliche amministrazioni. Sono decine i protocolli per la sicurezza siglati, a vario titolo, fino ad oggi: 9 su 10 hanno individuato proprio nella tecnologia video uno degli strumenti fondamentali per garantire maggior controllo del territorio amministrato, e come riflesso, maggiore sicurezza ai cittadini. Infatti, sino alla promulgazione della legge N° 38/2009, taluni comuni si dotavano già di sistemi video per la tutela della sicurezza urbana; però l’installazione andava supportata da specifici protocolli d’intesa tra sindaci e prefetti, essendo questi ultimi i soli referenti provinciali e istituzionali in materia di pubblica sicurezza. Peraltro, è lo stesso codice sulla privacy (Dlgs 196/2003) a prevedere che qualunque trattamento di dati personali -quindi anche d’immagini- da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto nello svolgimento delle funzioni istituzionali, e pertanto, non rientrando la pubblica sicurezza nella funzione istituzionale dei sindaci, ci si avvaleva dunque dei protocolli d’intesa con l’autorità prefettizia. Ma come si concilia, realmente, tutta questa dose di ottimismo? Se analizziamo le “qualificate e riscontrate” affermazioni di Mike Neville, capo dell’ufficio Immagini, Identificazioni e Indagini Video di Scotland Yard, beh tutta la faccenda assume ben altri contorni, aspetti, attese; le sue parole sono degne di nota: “l’esperienza della videosorveglianza in Inghilterra è stata un vero fiasco!”. Però! Dunque, secondo Neville, la criminalità non è diminuita: continua imperterrita nel suo “mandato criminis”, per niente “disturbata” dalla presunta e innovativa tecnologia preventiva; ancora: “solo nel 3% delle rapine in strada a Londra i responsabili sono stati catturati grazie alle telecamere, onnipresenti nella capitale. Miliardi di sterline sono stati spesi in materiali per la videosorveglianza, ma nessuno ha riflettuto su come la polizia avrebbe usato le immagini e come utilizzarle nei processi… il fatto è che i poliziotti evitano di sprecare tempo a guardare tutte quelle immagini mentre i delinquenti partono dal presupposto che sono apparecchi poco funzionali e mal utilizzati”. Analizziamo ora il pensiero di un nostro investigatore (della squadra mobile milanese), rilasciate tempo fa durante un  intervista al Corsera: “non è che non servano proprio a niente, solo è molto raro che i reati capitino proprio nel punto inquadrato dalla telecamera, come in una recente aggressione a un clochard avvenuta a Milano, dove una telecamera ha ripreso l’inizio del fatto ma ogni 30 secondi cambiava inquadratura rendendo di fatto impossibile una ricostruzione precisa”. In queste due affermazioni, diametralmente opposte per “cultura e nazionalità “, emerge in tutta evidenza un punto di contatto, anzi due, e di comune convergenza: due problematiche, più volte affrontate nelle pagine dei numeri precedenti, dove emerge chiara la scarsa conoscenza dell’argomento videosorveglianza, la scarsa conoscenza della risk analisys, di un corretto assessment, di errate analisi e scelte finali fatte proprio in sede progettuale, per l’assenza di una figura “esperta” in tema di “security managment”; tutte queste criticità incidono negativamente sul risultato finale, ottenendo sistemi difficilmente utilizzabili, che producono immagini spesso inutili, quanto difficilmente “storabili”, se non a costi altissimi, data la complessità dei CED. Ma si pone anche il secondo problema: la corretta raccolta delle registrazioni, la qualità “forense” del “dato” videoregistrato, quale fonte di prova utilizzabile secondo il nostro CPP. Altra casistica: nello Stato della California i dati hanno dimostrato che nonostante la TVCC abbia ridotto i reati del 3%, gli obiettivi protetti continuano a essere anche quelli quantitativamente più rapinati perché i criminali, volgarmente, se ne infischiano correndo il rischio e partendo dall’assunto: prima della telecamera c’è l’occhio dello sceriffo, dunque il quadro di certezza/incertezza, ad esempio, nell’essere scoperti è pressoché lo stesso. Un dossier francese ha raccolto alcuni dati sui costi economici dei sistemi di videosorveglianza installati in due città: Saint-Etienne e Lyon. A Saint-Etienne, una città di quasi 180.000 abitanti, dal 2001 sono presenti 67 Telecamere per un costo annuale di 1,3 mln euro, costo che ricomprende l’investimento dell’impianto, la manutenzione e dei 28 agenti di polizia assegnati alla sala video. Dati del 2008: sono stati avviati 130 procedimenti giudiziari contro gli autori dei reati videoregistrati, a fronte dei 10.532 reati accertati. Anche qui, nel contesto francese, i dati significano che le videosorveglianza è stata efficace nel trattare solo 1-2% dei reati consumati sul territorio urbano. A Lyon, analogamente, a fronte di un costo annuale che si aggira intorno ai 3 mln euro, i sistemi di sicurezza video hanno permesso di trattare circa 1,6% dei fatti criminosi, sempre riferiti al 2008. Dati che decisamente impongono una serena riflessione, una modifica sostanziale nell’approcciare questa tecnologia: trattandosi di uno strumento tecnologico, non si può prescindere da un’importante componente umana specializzata, ne da un robusto sistema organizzativo a supporto dell’obiettivo finale; una strategia ragionata per la sicurezza e la prevenzione della criminalità, che definisca, anticipatamente, gli obiettivi specifici del sistema, che può avvenire o attraverso il controllo in tempo reale delle immagini (deterrence), oppure a posteriori, con la visione delle immagini registrate (detection) per individuare i responsabili. 



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