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Sicurezza urbana: cosa serve alle Amministrazioni locali

06/02/2017

della Redazione

Che cosa vuol dire sicurezza urbana e come la percepiscono i suoi principali fruitori, cioè i cittadini? Quali tecnologie vengono messe in campo, con quali risultati? Cosa serve, in concreto, alle Amministrazioni per restituire sicurezza alle città italiane? Ne parliamo con il Prof. Gian Guido Nobili, docente di teorie e tecniche di prevenzione in diversi atenei italiani e responsabile dell’Area Sicurezza Urbana e Legalità della Regione Emilia-Romagna, che si occupa anche di gestire il FISU, Forum Italiano per la Sicurezza Urbana. l FISU, citiamo dal sito, “è un’associazione attiva dal 1996 che riunisce oltre 40 Città e Regioni italiane, il cui obiettivo è promuovere, anche nel nostro paese, nuove politiche di sicurezza urbana.

Il Forum italiano riconosce il ruolo centrale delle Città nello sviluppo di queste nuove politiche ed opera, fin dalla sua costituzione, per costruire un punto di vista unitario di Città, Regioni e Province sulle politiche di sicurezza urbana. Il Forum italiano è Sezione nazionale del Forum Europeo per la Sicurezza Urbana (EFUS), al quale sono associate quasi trecento Città ed Amministrazioni territoriali europee di oltre venti diversi paesi. Il Forum italiano collabora con l’Associazione nazionale dei Comuni, la Conferenza dei Presidenti di Regione e di Provincia autonoma e con l’Unione delle Province italiane per promuovere una moderna legislazione nazionale in materia di sicurezza urbana, politiche integrate di sicurezza e qualificazione della polizia locale”. Fra le regioni ed i comuni italiani aderenti, per citarne solo alcuni: Abruzzo, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Molise, Toscana, Umbria, Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Trento, Brescia, Modena, Prato e Piacenza - il cui Sindaco è, al momento attuale, il Presidente del Forum.

DEFINIZIONI

“E’ complesso definire la sicurezza urbana”, esordisce Nobili. “Le ricerche, nazionali e internazionali, tra cui quelle promosse dal FISU, dimostrano che concorre al concetto di sicurezza un’ampia gamma di fattori, che comprendono, ad esempio, anche le sensazioni di disagio e paura, nettamente diverse dagli episodi reali di criminalità”. “In quest’ottica si possono identificare cinque elementi principali che concorrono a formare la domanda di sicurezza urbana:

1. il rischio concreto di essere vittima di minacce, aggressioni o di altri episodi di violenza, sia a scopo di rapina, che come atti di violenza gratuita;

2. la violazione dei codici tradizionali di condotta civica, come urinare nello spazio pubblico, mendicare in modo aggressivo, disturbare la quiete pubblica...;

3. la mancanza di “cura” del territorio, intesa sia come scarsa manutenzione di parchi e spazi pubblici, sporcizia, mancate riparazioni dell’arredo urbano, sia come assenza delle forze dell’ordine o di altri guardiani;

4. il senso di insicurezza, fattore disgiunto dall’insicurezza reale, legato a fattori ambientali, quali lo squallore dello spazio urbano, la mancanza di vitalità, la scarsa illuminazione, ecc. E’ intuitivo, ad esempio, che la maggiore o minore - anzi, la corretta - illuminazione, giochi un ruolo fondamentale nella percezione che possono avere i cittadini di vivere in una città più o meno sicura;

5. la paura e gli altri elementi che l’accompagnano (paura intesa come sentimento soggettivo, non necessariamente legato al rischio, ma connesso a fattori più diversi, spesso lontani rispetto allo specifico luogo nel quale la paura si manifesta, quali ad esempio: età, sesso, orientamento politico, sistema di relazioni personali...). Anche in questo caso, facciamo qualche esempio: le donne hanno di solito più paura degli uomini e gli anziani più dei giovani. Tutte le ricerche e i rapporti del FISU dimostrano che, anche se sono i giovani che subiscono più reati, chi ha più paura sono le persone anziane, che, pure, sono meno esposte – per stili di vita - a furti, borseggi o aggressioni…insomma, la paura non corrisponde con il rischio concreto di essere vittima di qualche episodio criminale, ma c’è e ne dobbiamo sicuramente tenere conto in maniera seria”.

SOLUZIONI

Come si può, quindi, intervenire concretamente per rendere le città più sicure? Purtroppo, sostiene il professor Nobili, non c’è una soluzione valida per tutti, così come manca la famosa “killer application”, in quanto le variabili, nel contesto della sicurezza urbana, sono davvero tante. Prendiamo ad esempio la videosorveglianza: secondo gli esperti, l’equazione telecamere uguale sicurezza non è sempre vera. “Studi condotti a livello internazionale, al contrario, mostrano che l’effetto deterrente è, in generale, del tutto residuale e statisticamente poco significativo. L’utilità dei sistemi di videosorveglianza va ricercata piuttosto nella dimensione repressiva, in funzione di acquisizione di materiale probatorio per le indagini di polizia giudiziaria, più che come strumento di prevenzione. Sono naturalmente due aspetti profondamente diversi. La funzione di deterrenza attiene infatti alla capacità dello strumento di prevenire il reato, mentre la funzione di detection attiene alla capacità dello strumento di identificare l’autore del reato, una volta che questo è stato commesso. La prima assolve quindi una funzione tipicamente propria delle politiche di sicurezza locali. La seconda assolve una funzione tipicamente propria delle politiche di sicurezza nazionali.

EFFICACIA DELLA VIDEOSORVEGLIANZA

La ricerca ci insegna altro ancora. Innanzitutto, la videosorveglianza sembra essere più efficace nel contenere i crimini contro la proprietà. In questo senso i reati di tipo strumentale, come furti o rapine, che derivano da motivazioni opportunistiche, risultano essere maggiormente influenzati dalla presenza delle telecamere, mentre nei reati di tipo espressivo, che nascono da azioni impulsive fini a se stesse, i benefici appaiono più contenuti. Un esempio in questo senso può essere dato da quelle aggressioni motivate dall’abuso di alcool. Dagli studi effettuati emerge dunque che la videosorveglianza può produrre risultati molto diversi a seconda della tipologia di delittuosità che si vuole fronteggiare. Le telecamere sembrano esercitare maggior effetto in aree ben delimitate, perimetrate e per crimini che richiedono, senza interazione con la vittima, una più lunga esposizione alla ripresa. È il caso, fra tutti, del furto di un’automobile, che tra le diverse tipologie di reato sembra essere quella più positivamente influenzabile dalla presenza delle telecamere. Per questa serie di ragioni non è possibile esprimere un giudizio univoco sull’efficacia della videosorveglianza, che dipende piuttosto da molteplici variabili. Quindi va posta attenzione alle tipologie di fenomeni che si vogliono controllare, nonché al contesto ambientale in cui le telecamere vengono posizionate, dato dall’illuminazione, dalle vie di fuga...”.

LA COMPONENTE UMANA

“Per avere una probabilità di successo in un contesto di sicurezza urbana”, aggiunge Nobili, “la videosorveglianza deve poi sempre essere accompagnata da un’importante componente umana specializzata. È solo uno strumento tecnologico, che non può prescindere dal personale di sorveglianza e dal sistema organizzativo delle agenzie di controllo”.“Va riconosciuto che nel prossimo futuro l’evoluzione delle tecnologie verrà in soccorso di chi opera nel campo delle attività di videocontrollo a distanza del territorio. Attualmente un operatore di sorveglianza può osservare in tempo reale non più di quattro o cinque monitor. In queste condizioni, l’attenzione umana scema già dopo una ventina di minuti. Oltre la mezz’ora un operatore non si accorgerebbe neppure della comparsa sul monitor di un elefante a pois! Il futuro in questo senso andrà sempre più verso sistemi digitali in grado di gestire software di analisi delle immagini e allertare automaticamente il personale di sorveglianza solo in caso di rischio effettivo. Mi riferisco in particolare a sistemi di videosorveglianza che possono essere finalmente associati ad apparati di allerta sofisticati e “intelligenti”. Negli ultimi anni, per esempio, si stanno diffondendo negli USA telecamere con sistemi di riconoscimento di fonti sonore ritenute pericolose. Il sistema è noto come SENTRI, ovvero Smart Sensor Enabled Neutral Threat Recognition & Identification System, la telecamera riconosce e si orienta verso, ad esempio, il rumore di uno sparo o il grido di una persona. Oppure ancora sistemi di allerta che riconoscono, nella scena spaziale abitualmente presidiata dalle telecamere, le presenza fisica di soggetti/oggetti “incongrui” e dunque potenzialmente pericolosi: per esempio valigie, lasciate incustodite nell’atrio di una stazione, e allertano immediatamente l’operatore di sorveglianza. In Inghilterra vengono utilizzate telecamere con megafono che lanciano segnali d’allarme e richiami all’ordine pubblico. I poliziotti da remoto possono controllare i passanti e, in caso di comportamenti antisociali, possono anche richiamare all’ordine gli autori dell’azione deviante grazie ai megafoni di cui sono dotate le telecamere. Gli operatori delle forze di polizia, grazie alle nuove telecamere, potranno così rivolgersi direttamente all’individuo sospetto, intimandogli di allontanarsi o di desistere da un’azione di disturbo”. “C’è poi, come anticipato, il tema dell’illuminazione, che è efficace, anzi, fondamentale per prevenire e dissuadere dalle azioni devianti…in realtà, una soluzione facile e comune a tutti i contesti proprio non esiste. Quindi, è indispensabile mutare l’approccio, cioè non ragionare su quale sistema scegliere, ma partire da un’analisi seria e rigorosa dei problemi del territorio”.

DIAGNOSI LOCALI

“Le soluzioni possono, anzi, devono essere diverse da città a città. Per questa ragione, a nostro parere, è indispensabile una diagnosi locale della sicurezza urbana, che in Italia si fa ancora poco se non niente. Mi spiego: io oggi posso sapere, semplicemente collegandomi a Internet, quale è il quartiere di Minneapolis o di Birmingham, per citare due soli casi, in cui c’è la maggiore frequenza di scippi piuttosto che di aggressioni o di rapine…Esiste, infatti, una cartografia digitalizzata che fornisce della mappe ragionate sui vari crimini che sarebbero fondamentali per l’amministrazione locale, la quale, in questa maniera, sa dove deve intervenire e con che modalità. Nel nostro paese occorre dare impulso alla creazione di e vere e proprie banche dati dei fenomeni di inciviltà e degrado urbano che, opportunamente integrata con i dati della delittuosità, possano finalmente consentire una lettura organica delle condizioni di sicurezza urbana di un territorio sia su scala comunale che regionale”. “Sembra incredibile, ma in Italia le amministrazioni non conoscono la distribuzione della attività criminali sul proprio territorio. Esistono dei sistemi di relazione con le banche dati del Ministero dell’Interno, ma riguardano l’intero territorio: mi dicono, cioè, ad esempio, che a Milano si verifica un numero tot di borseggi, ma non anche dove essi avvengono. Se i professionisti della sicurezza ci potessero fornire degli strumenti di questo tipo, sarebbe possibile anche razionalizzare e velocizzare il lavoro non solo delle amministrazioni locali, ma delle forze dell’ordine”.

COSA SERVE ALLE AMMINISTRAZIONI

“L’obiettivo non è solo quello di produrre dati di sfondo o semplicemente comprendere eventuali correlazioni esistenti, ad esempio, tra particolari tipologie di disordine urbano e la vulnerabilità di un quartiere. Si tratta, piuttosto, di raccogliere le informazioni necessarie a governare il fenomeno dell’insicurezza e del rischio in ambito urbano. In questo senso la conoscenza dei fenomeni criminali e di inciviltà a livello locale diventa funzionale alle necessità operative dell’amministrazione e alle esigenze decisionali per lo sviluppo di mirate politiche di sicurezza. “Per rimanere sul piano delle tecnologie, quella GIS (Geographic Information System) si è rivelata di grande utilità nel contrasto della criminalità. Il sistema Compstat ha reso famoso in tutto il mondo il modello di gestione dei comandi locali del New York Police Department, che si basa su analoghe tecnologie. Il NYPD’ Compstat fa infatti uso di informazioni e di tecniche di analisi cartografiche per produrre statistiche sulla delittuosità e sui profili criminali in ognuna delle aree urbane afferenti ad una singola stazione di polizia”. Insomma, secondo il professor Nobili, occorre cambiare l’approccio. “Non dobbiamo più ragionare sulle soluzioni, siano esse le telecamere, le ronde e via dicendo… Servono dei percorsi ragionati e integrati, con interventi combinati di prevenzione sociale, situazionale e comunitaria, uniti alla riqualificazione e rigenerazione ambientale, insomma: tutti quegli aspetti che fanno parte del disegno urbano e della complessità sociale di una città e che concorrono a determinarne la sicurezza. Altrimenti non riusciremo mai a rispondere compiutamente alle richieste dei cittadini ed alla crescente domanda di sicurezza urbana”.



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