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Videosorveglianza in azienda: sistemi, tecnologie e opinioni a confronto

17/11/2017

della Redazione

Cybersecurity e molto altro nella nuova indagine The video surveillance report 2017 condotta da IFSEC Global e fondata su interviste a responsabili della sicurezza, decision maker aziendali in ambito security e altre figure coinvolte nel processo di acquisizione e gestione di sistemi di videosorveglianza, all’interno di organizzazioni di diversa dimensione e area di attività. Sponsorizzato da Idis, il report fotografa le esigenze di sicurezza delle aziende, le scelte impiantistiche e la percezione di chi si occupa di security in relazione ai fenomeni che più impattano sul settore della videosorveglianza: integrazione, innovazioni tecnologiche (dal 4K alle telecamere termiche e ultra low-light, dalla video analisi “a bordo” allo storage) e, inevitabilmente, la sicurezza informatica.

Fino a pochi anni fa la sicurezza delle informazioni sembrava un mondo del tutto distinto e separato da quello della sicurezza fisica. Oggi, invece, ogni barriera tra le due discipline è stata abbattuta. L’integrazione con altri sistemi legati al funzionamento e alla gestione degli edifici, una serie di clamorosi attacchi informatici e uno spettro di sanzioni più punitive per le violazioni dei dati (il riferimento è al GDPR, la nuova normativa UE sulla protezione dei dati personali) sono oggi al centro dell’attenzione dell’intera filiera della sicurezza, con un unico obiettivo: rafforzare le difese informatiche.

CYBERSECURITY NELL’ERA DELLA CONVERGENZA

In Occidente il tasso di criminalità è costantemente diminuito fin dagli anni ‘70, questo è un fatto. Quale che sia stato il suo ruolo in questo trend, la TVCC si può sicuramente definire come uno strumento utile per identificare e condannare i criminali, e lo sarà sempre di più con il progredire della tecnologia. I sistemi di videosorveglianza sono però diventati anche dei potenziali “facilitatori” di azioni criminali a basso rischio, ma molto lucrose. Tra gli episodi più recenti di incursioni informatiche ricordiamo l’attacco al sistema TVCC di Washington DC, agli inizi di quest’anno, qualche giorno prima dell’Inauguration Day presidenziale. Oltre alle violazioni informatiche, un altro tassello si aggiunge per comporre il quadro di riferimento per il settore della sicurezza: il Regolamento Privacy UE, meglio noto come GDPR, General Data Protection Regulation, che a partire dal 25 maggio 2018 sarà pienamente applicato nei paesi europei, con un sistema di sanzioni più aspro rispetto al passato. Eppure il 41% di coloro che si avvalgono di sistemi di videosorveglianza IP ha dichiarato di non essere affatto preoccupato della loro vulnerabilità. Un dato che può essere interpretato in modo rassicurante (sono state adottate tutte le soluzioni necessarie per ridurre al minimo le violazioni da parte di pirati informatici) o come segno di eccessiva, in qualche caso ingiustificata, fiducia. Negli ultimi due anni la sicurezza informatica è diventata comunque un punto di riferimento importante per tutta la filiera. Circa la metà (il 48%) degli intervistati ha dichiarato di essere molto più preoccupato per le violazioni informatiche rispetto a due anni fa. Se entriamo nell’ambito delle cosiddette infrastrutture critiche – enti governativi, ospedali, trasporti, industria pesante ecc. – la preoccupazione per la vulnerabilità dei sistemi adottati sale al 66%.

ANALOGICO: UN’ALTERNATIVA PIÙ SICURA?

A oltre vent’anni dall’alba dell’era IP, le telecamere analogiche sono ancora presenti nella maggioranza (il 57%) delle installazioni, con un 21 % di sistemi che dispongono esclusivamente di telecamere analogiche. Tuttavia, se si limita l’analisi alle realizzazioni degli ultimi cinque anni, il quadro muta in modo consistente. La percentuale di sistemi che impiegano dispositivi analogici scende al 49%, e solo nel 15% dei casi si tratta di sistemi esclusivamente analogici (contro il 79% e il 33% rispettivamente, per le installazioni più datate). Ma come mai l’analogico è ancora prevalente nell’industria della sicurezza fisica? Non dipende soltanto dalla necessità di aggiornamento di sistemi obsoleti: c’è altro. Se infatti il report 2016 della stessa Ifsec Global rilevava che il 56% delle organizzazioni prive di una soluzione HD analogica era disponibile a valutarla purché fosse economica, semplice e in grado di sfruttare i cavi coassiali esistenti, nel 2017 è emersa una visione sorprendente: la preoccupazione per la sicurezza dei dati (grafico 1). Tra quanti dispongono di sistemi IP, un intervistato su tre (33%) ha infatti affermato di non escludere un ritorno ad un protocollo chiuso o addirittura ad un sistema analogico, nel caso dovesse subire attacchi informatici con danni cospicui. Si tratta di un aspetto importante: qualunque siano i vantaggi delle telecamere di rete – e sono molteplici – molti responsabili e addetti alla sicurezza guardano con sospetto all’IP, temendo che possa tradursi in un potenziale rischio cyber.

IN AUMENTO LE PIATTAFORME APERTE

Con utenti finali disposti a premiare l’integrazione tra sistemi differenti e tecnologie sempre più “software-driven”, gran parte del settore della sicurezza ha abbracciato le piattaforme aperte, un fenomeno che è evidente anche in altri ambiti. Nelle tecnologie per lo smart building, per esempio, la domanda di una maggiore interoperabilità ha spinto il mercato a prendere progressivamente le distanze dai sistemi proprietari, per orientarsi verso architetture più aperte. Gli stessi driver si applicano al comparto della videosorveglianza. Nondimeno, molti sistemi proprietari sono ancora in funzione e rappresentano la maggior parte (il 56%) dei sistemi installati, percentuale che si riduce al 52% se si considerano gli impianti realizzati negli ultimi cinque anni (contro il 66 di quelli di epoche precedenti). La direzione è chiara: aumenta il numero di aziende che abbandonano il modello proprietario ed è facile immaginare, per i prossimi anni, un radicale rovesciamento delle proporzioni attuali.

LA VIA DELL’INTEGRAZIONE

Quasi la metà degli intervistati (il 48%) sta integrando, o ha programmato di farlo, il proprio sistema di videosorveglianza con altri sistemi, per creare una business intelligence globale, dalla raccolta e analisi dei dati all’IoT. Integrare differenti building system in un’unica rete per raccogliere, condividere, analizzare e automatizzare le risposte è effettivamente la definizione più pertinente del termine ‘smart building’. Gli investimenti globali per queste tecnologie aumenteranno dai 7 miliardi di dollari del 2015 ai 17.4 del 2019, secondo le previsioni dell’IDC Insights (Business Strategy: Global Smart Building Technology Spending 2015–2019 Forecast). In una recente ricerca sulle tendenze dello smart building, è stato chiesto a centinaia di professionisti della sicurezza, gestori e altre professionalità coinvolte nella gestione degli edifici, quali funzioni o impianti dei loro immobili potessero essere descritte come “intelligenti”. La videosorveglianza è stata l’opzione più votata, con il 67% delle preferenze, un dato che dimostra come il settore della sicurezza sia all’avanguardia quando si tratta di integrare e di controllare i big data.

4K... QUANDO SERVE

4K sì o no? Solo l’11% degli intervistati nell’indagine Ifsec Global dispone di telecamere di rete con risoluzione 4K, ma una larga maggioranza ritiene di averne necessità, con un 44% disponibile all’investimento non appena i costi diventeranno accessibili. Con la riduzione dei prezzi, ci si attende che il numero delle installazioni con questi dispositivi aumenti nettamente negli anni a venire. Non tutti sono del resto attratti dai benefici delle risoluzioni più elevate: il ricorso al 4k dipende dalle esigenze operative. In alcuni casi – è uno dei commenti riportati nel report – una telecamera analogica standard 4CIF può svolgere perfettamente il proprio compito. La scelta, in definitiva dipende dal contesto, dall’adeguatezza alle funzioni richieste, e non dall’aggiornamento tecnologico fine a se stesso.

LOWLIGHT VS TERMICA

Circa un terzo degli intervistati (il 32%) utilizza telecamere con tecnologia lowlight, che permette di restituire immagini a colori anche in condizioni di scarsa luminosità, mentre un ulteriore 42% intende dotarsene (grafico 2). Un intervistato su 4 preferisce utilizzare le telecamere termiche. Per catturare i più piccoli dettagli di giorno e ottenere, nel contempo, capacità di rilevamento dei movimenti anche in totale oscurità, di notte, l’ideale sarebbe dotarsi del meglio di entrambe le tecnologie, coprendo la scena con telecamere sia termiche sia lowlight.

ANALISI VIDEO, RISORSE GARANTITE

“La videosorveglianza non è più un acquisto mal tollerato grazie all’analisi video e ad altre funzionalità all’avanguardia”, secondo circa un terzo (il 34%) degli intervistati. Quando si trattava di garantire risorse per gli aggiornamenti, una volta era impossibile calcolare il ritorno del TVCC sugli investimenti: i responsabili della sicurezza non potevano presentare il calcolo dei costi evitati perché i ladri sarebbero stati scoraggiati o catturati grazie alle telecamere di sicurezza. Ed è tuttora impossibile conoscere l’esito di eventi che non si sono verificati. Ma la videoanalisi cambia le carte in tavola. Con l’automazione del processo di monitoraggio – che include il rilevamento del movimento e dell’intrusione, il tracciamento degli individui, il riconoscimento facciale, l’avviso e l’allarme – il software di videosorveglianza svolge il lavoro in modo più efficace e a costi inferiori rispetto alle guardie di sicurezza: non si stanca, non si distrae e non richiede uno stipendio... a queste condizioni sarà molto più facile ottenere l’approvazione (e i fondi) per un aggiornamento tecnologico.

ANALITICA A BORDO

Più della metà (il 58%) degli intervistati utilizza l’analisi video, con un’ampia maggioranza (88%) che segnala di avere ottenuto un miglioramento delle attività, in molti casi addirittura un “enorme miglioramento”. L’avvento dell’analitica a bordo ha ampliato ulteriormente le possibilità di accesso a questa tecnologia. L’installazione dei software all’interno delle stesse telecamere, piuttosto che nel VMS, riduce il numero di server richiesti e di conseguenza i costi. Nei sistemi più recenti – quelli installati negli ultimi cinque anni – una buona percentuale (il 43%) è dotata di video analitica a bordo; se si guarda agli impianti più datati, si scende al 20%. La funzione più popolare (grafico 3) è quella più semplice: il rilevamento delle intrusioni, che è presente nella larga maggioranza dei sistemi dotati di tecnologie di video analisi. I software offrono però come dotazione standard un numero crescente di funzioni; dalle applicazioni per il controllo degli accessi, presente nel 52% dei sistemi, a quelle per l’analisi dei dati, come le mappe termiche e il conteggio delle persone (48%) fino alla rilevazione fumo e incendi.

LE SFIDE DELLO STORAGE

Alta definizione, 4K, registrazione alla massima frequenza di fotogrammi, registrazione 24/7... tutti questi fattori hanno stimolato il progresso tecnologico anche nel campo dello storage, incrementando la capacità di archiviazione dei sistemi di videosorveglianza. Si deve considerare inoltre che lo storage TVCC presenta proprie complessità, in relazione al fatto che, diversamente da altri dati informatici, i dati video, utilizzabili come prove in sede giudiziaria, non possono essere modificati. Innovazioni come le tecnologie di compressione dei file, l’immagazzinamento sequenziale, l’utilizzo di elio (le cui molecole sono più piccole di quelle d’aria) e anche la velocità di connessione a banda ultra larga permettono all’industria di vincere le sfide poste dalla videosorveglianza e soddisfare le richieste di storage.

DURATA DEI PRODOTTI

Questo è l’ultimo capitolo dell’indagine ed offre interessanti spunti di riflessione. A partire dalla frequenza con cui gli impianti di videosorveglianza vengono aggiornati: più di un terzo delle organizzazioni interpellate sostituisce o adegua il proprio sistema TVCC ogni 5-7 anni. Mediamente, la durata di vita del prodotto è compresa, secondo gli intervistati, nello stesso arco di tempo, tra i 4 e i 6 anni, sia per le telecamere sia per i dispositivi di registrazione. Ma cosa spinge un professionista della security a valutare concluso il ciclo di vita del sistema installato? Tre i possibili scenari descritti nel report. Il primo: il costo della gestione e della manutenzione diventano proibitivi e difficili da giustificare. Secondo scenario: i pezzi di ricambio non sono più disponibili o il fornitore non supporta più gli aggiornamenti software. Infine, l’ultimo scenario: le prestazioni e la funzionalità del sistema originario sono così inferiori a quelle delle tecnologie di videosorveglianza di ultima generazione che il sistema non può più essere ritenuto idoneo alla sua funzione.

GARANZIE

E in questo contesto qual è il valore attribuito alle garanzie? (vedi grafico 4) Un terzo degli intervistati è concorde nell’affermare che la durata della garanzia sia un aspetto incredibilmente importante. Ma c’è anche chi sottolinea l’importanza dell’etica professionale – di installatori, integratori, consulenti, distributori e produttori – senza la quale ogni garanzia diventa inutile. Il tema della durata della garanzia sembra non interessare un intervistato su cinque (il 20%), attento solo all’affidabilità dei prodotti e delle aziende fornitrici. Un segnale chiaro per le aziende che non investono sulla reputazione del brand. Nel complesso, la maggior parte delle aziende intervistate sembra apprezzare garanzie estese, e più della metà (il 54%) ritiene che rappresentino una specie di sigillo non ufficiale di qualità. Infine, l’offerta di una garanzia di cinque anni senza costi aggiuntivi (la maggior parte dei fornitori ne propone solo tre) renderebbe una soluzione di videosorveglianza una proposta più appetibile a un’ampia maggioranza (il 78%) dei professionisti coinvolti nell’indagine di Ifsec Global.  

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