Secondo le stime di Confindustria Digitale, varrà 6,6 punti di Pil italiano la svolta del mercato digitale, generando 700.000 posti di lavoro nei prossimi cinque anni, con i primi effetti già nel 2015. A confermare queste previsioni, è anche l'Osservatorio Infojobs, secondo cui il 23% delle offerte di lavoro di quest'anno si concentrerà sui campi di Internet e dell’ informatica.Importanti opportunità in arrivo per i professionisti, anche se per quanto riguarda la disciplina in materia di protezione dei dati, il nostro Legislatore si trova in stato di quiescenza aspettando l'approvazione del nuovo Regolamento UE, che pur essendo prevista quest'anno, necessiterà poi di ulteriori due anni per vedere la sua piena applicazione.
Qualche segnale positivo ultimamente c'è stato con la riforma delle professioni non organizzate in ordini e collegi attuata con la Legge 4 del 2013, che ha finalmente concesso alle associazioni professionali la possibilità di autoregolamentarsi, ed anche le certificazioni basate sulla norma internazionale ISO 17024 sono sempre più utilizzate dai professionisti per dimostrare le proprie competenze.Abbiamo chiesto di fare il punto della situazione agli esponenti delle due più note associazioni che si occupano di privacy sul territorio nazionale, rispettivamente il presidente di Federprivacy, Nicola Bernardi, ed il presidente dell'Istituto Italiano per la Privacy, Luca Bolognini.
Presidente Bernardi, quali sono gli strumenti più efficaci consigliati da Federprivacy che un professionista può spendere sul mercato per proporsi sul mercato come privacy officer?
"In previsione del nuovo regolamento europeo, la nostra associazione si è attivata da tempo per essere competitivi nel mercato, che richiede sempre più know-how e competenze dimostrabili, visto che i soli studi universitari non bastano più. Nei prossimi 12 mesi permetteremo a 1.000 professionisti di dotarsi di credenziali documentate mediante gli attestati di qualità rilasciati ai sensi della Legge 4/2013, ed i certificati basati sulla Norma ISO 17024 emessi dal Tüv Examination Institute come organismo di certificazione di terza parte. Tuttavia, con l'arrivo del regolamento europeo, il mercato potrà richiedere trai 25.000 ed i 70.000 privacy officer.
Nonostante i numeri ci diano ampia soddisfazione per quel che riguarda il nostro operato, questo significa d'altra parte che gli sforzi da noi compiuti per dare trasparenza e credibilità alla categoria professionale rappresentano ancora una goccia nel secchio rispetto al reale fabbisogno. Per questo ci troveremo con una forte richiesta di specialisti della materia, che allo stato attuale mancano all'appello. Il pericolo è ovviamente che se i nostri professionisti non si qualificheranno per tempo, le aziende potranno rivolgersi a consulenti stranieri, dato che il nuovo impianto normativo sarà il medesimo in tutti e 28 Stati membri UE."
Presidente Bolognini, il Privacy Officer è previsto dagli ordinamenti di 15 nazioni d'Europa, ma in Italia il Codice Privacy neppure lo menziona. Come si potrebbe superare questo gap normativo?
“Non servirebbe neanche aspettare l’avvento del Regolamento europeo, se il nostro Garante Privacy prescrivesse in via generale, come già fece con il Provvedimento sugli Amministratori di Sistema, la necessità di un responsabile privacy per ogni struttura con dati sensibili. Il Privacy Officer, già previsto a vario titolo in diversi Paesi del mondo, inclusa la Germania, darebbe maggiore garanzia che i titolari di trattamenti di dati cosiddetti pericolosi facciano “mente locale” sui rischi e assegnino correttamente i compiti organizzativi e di tutela aziendale delle informazioni.
A cosa serve, infatti, adottare misure di sicurezza tecniche e assegnare incarichi per il trattamento di dati, se manca la regia complessiva? Peraltro, le realtà più importanti già si sono attrezzate in questa direzione. Facciamo appello alla nostra Autorità, sempre lungimirante e attenta alle esigenze concrete di bilanciamento tra efficienza del business e salvaguardia dei diritti fondamentali, affinché preveda questa figura esterna o interna almeno per i casi più delicati, e pensiamo ad esempio a settori come la sanità digitale, il Big Data analytics, il marketing e i trattamenti di dati di minori”.
L'economia digitale potrà pertanto dare un contributo decisivo per il rilancio del mercato del lavoro, ma spetta da una parte ai professionisti farsi trovare pronti, e dall'altra parte alle istituzioni creare le giuste condizioni per coglierne le opportunità, stabilendo regole necessarie ad evitare che si venga a creare una sorta di "mercato selvaggio" delle professioni.
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