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Riprese e fotografie: un'interessante sentenza della Corte di Cassazione

20/07/2011

ROMA - Se si ha motivo di credere che qualcuno stia compiendo un atto illecito in casa propria, si è giustificati a vestire i panni del detective per incastrare il colpevole. Potrebbe essere questa la sintesi di una sentenza, la n. 25453 del 24 giugno 2011 della Suprema Corte, emessa per riformare la pronuncia con cui un padre e una figlia erano stati condannati per il reato di interferenze illecite, contemplato dall'art. 615-bis del codice penale e per quello di molestie o disturbo (art. 660 c.p.) per avere, in concorso tra loro, fatto riprese e scattato fotografie, acquisendo immagini relative alla vita privata dei vicini. Questa attività era motivata dal desiderio di documentare la costruzione di un muro di confine nella proprietà dei vicini, costruzione che i due consideravano illecita. In sede di merito era costata, grazie alle attenuanti generiche, quattro mesi di reclusione e la condanna al risarcimento del danno.

Il reato di interferenze illecite consiste nel procurarsi indebitamente immagini o notizie, relative allo svolgimento della vita privata, all'interno dell'abitazione o degli altri luoghi di privata dimora. La disposizione trova applicazione solo se tale condotta si svolga (in luogo di privata dimora) in modo da non risultare, tendenzialmente, visibile da estranei. La riservatezza della propria condotta non può invece essere rivendicata nel caso in cui, pur svolgendosi in luogo di privata dimora, l'azione possa essere liberamente osservata senza bisogno di particolari accorgimenti. La sentenza rimarca che l'intrusione, tramite le riprese fotografiche o filmate deve essere indebita, perché possa applicarsi la disposizione sul reato di interferenze, privilegiando le ragioni della privacy. Perché possa essere considerata indebita, non vi devono essere ragioni che giustifichino l'intrusione. La condotta dell'agente, pertanto, deve essere "ispirata dalla sola finalità di gratuita intrusione nella vita privata altrui" e non dall'esigenza, legittima, di tutelare un diritto. In questo caso la necessità di documentare l'indebita costruzione ha reso legittime le riprese. Questa necessità non avrebbe potuto essere soddisfatta ricorrendo all'autorità.

Secondo la Cassazione, infatti, l'intervento della forza pubblica non avrebbe potuto avere effetti se la costruzione fosse risultata (benché in contrasto con le disposizioni del codice civile) costruita sulla scorta di idonea autorizzazione e, pertanto, legittima sul piano amministrativo. Le vittime di questa indebita costruzione potevano quindi ricorrere solo alle azioni previste, per tutelare la proprietà e il possesso, ma in ogni caso, pure in questa prospettiva, avrebbero avuto "innegabile diritto a documentare con ogni mezzo (non esclusa appunto la ripresa fotografica o filmata) l'epoca dell'altrui costruzione". A maggior ragione, rileva la sentenza, se si considera che ai fini della proposizione dell'azione di denuncia di nuova opera, è necessario il rispetto del temine dell'inizio di un anno dall'inizio della nuova opera.

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