MILANO - Di tutti gli arnesi bulimicamente scodellati dall’homo technologicus, il drone rappresenta forse l’unico condannato ad una qualche libertà vigilata, ad un pregiudizio “concettuale” duro a morire, a norma del quale deve ancora giustificare la sua esistenza ed in ogni caso limitare la propria esistenza entro gli stretti ambiti di tollerata operatività. La stessa regolazione worldwide di settore non assiste molto nel legittimarne l’uso, incerta com’è ancora su come classificare in forma compiuta i Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto (APR; come ampollosamente il Regolamento ENAC nostrano ancora chiama i droni).
Idem dicasi della pervasività dei droni, volatili che intervengono a metà strada tra gli inaccessibili aeromobili ed il piano stradale “dove si forma il diritto” (come diceva Calamandrei) - cosa che evoca non poche paure ancestrali, dall’occhio del Grande Fratello ad Echelon, passando per le orecchie bioniche dei vari Terminator cinematografici, chiamati a sopprimere l’uomo in culla nella tragica e fatale lotta per il futuro dominio del pianeta.
Per leggere l'articolo completo di Fabrizio Cugia di Sant’Orsola, Studio Cugia Cuomo e Associati:
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